E’ curioso che la danza del ventre, pur non nascendo direttamente dalla cultura islamica, sia stata mantenuta per secoli, e tutt’ora, proprio in paesi come quelli mussulmani, rimanendo comunque circoscritta in una realtà socio culturale marginale. Probabilmente, per comprendere questo, dobbiamo andare molto indietro nel tempo, all’epoca remota della cultura araba pre-islamica, dove gli antichi arabi adoravano dee femminili.
I racconti più diffusi parlano di Venere come di una donna affascinante che abitava sulla terra e si trasformava in Astro rosso splendente, oppure abbiamo la connessione con la figura antica della Grande Dea Madre della civiltà mesopotamica, che esercitò la sua influenza sulla cultura degli arabi antichi. Ad ogni modo poi, con l’arrivo dell’islam, si è distrutto tutto ciò che apparteneva alla cultura pagana, anche se gli arabi, diventati mussulmani, non dimenticarono mai le loro usanze e costumi locali. Comunque, una linea orientativa che possa guidarci a comprendere, è quella di cercare di analizzare alcuni elementi importanti, prendendo ad esempio in considerazione come possibile spiegazione il “ventre”, inteso come simbolo, sorgente di vita, sede della procreazione, che si ricollega alla figura della donna madre, alla figura femminile nella sua interezza, alla quale tutte le tradizioni hanno dato significati più o meno similari.
Ma cosa si intende per simbolo? In tutta la storia dell’umanità gli elementi della natura: acqua, fuoco, aria, terra, racchiudono in sé molti altri significati rispetto a quello che indicano, ad esempio quando dico “fuoco” non indico soltanto il fuoco che brucia, ma richiamo il calore, la vita, la luce, il sole, l’inferno, ecc. Come per gli elementi della natura, molte altre cose per l’uomo acquistano valenza simbolica e nella danza del ventre, il “ventre” come simbolo richiama i temi della fertilità e della sessualità, intesi come continuità del processo vitale, una continuità fatta di cicli come alla notte segue il giorno, come le stagioni si succedono nell’anno, come alla nascita segue la morte, ecc. Questa ciclicità nella danza del ventre viene rappresentata enfatizzando i movimenti del bacino. Quella che è arrivata fino a noi oggi, comunemente chiamata danza del ventre, non la si può far risalire ad un precisa tradizione storico/culturale che la possa collegare direttamente alle danze sacre dell’antichità, ma la somiglianza di numerosi movimenti e passaggi fanno supporre che la danza del ventre abbia avuto un’origine religiosa. Movenze simili a quelle presenti nella danza del ventre, venivano espresse in rituali propiziatori verso le forze della natura, all’interno di templi dedicati a divinità femminili. La simbologia dei movimenti sacri/propiziatori, si ritrova nelle figure della danza del ventre di oggi, come le oscillazioni ed i sussulti del bacino.
Questa simbologia è giunta fino a noi grazie a bassorilievi e affreschi databili 4000 anni fa, dove sono raffigurati uomini e donne in varie pose di danze rituali. Non possiamo affermare che essa sia una danza sacra, ma possiamo pensare che essa si sia sviluppata nel corso del tempo come fenomeno connesso a quelle antiche tracce di danza, ma sempre vissuta decontestualizzata e degenerata ai margini della società arabo/islamica per diversi secoli. Viene da domandarsi come mai sia rimasta relegata ai margini della società e della tradizione culturale fino ad oggi, forse per mancanza di una forte tradizione della stessa danza o forse per la questione socio-culturale della società islamica. Forse è stata caratterizzata da una sottocultura che non ha avuto la capacità di inserirsi appieno nel contesto della società araba, né ha potuto evolversi per dialogare con la cultura erudita. Comunque è una forma di danza che è stata, ed è tutt’oggi, né del tutto rifiutata né del tutto accettata. Questa strana ambivalenza, che la colloca tra il sacro e il profano, è sopravvissuta e fa si che essa sia tanto ambigua quanto misteriosa, ma estremamente accattivante. La questione richiede uno studio a parte, possiamo solo dire che ogni forma d’arte, e la danza del ventre è un’arte, necessita della presenza di disciplina e di una tradizione.
Continuiamo la nostra ricerca inserendo un’altra importante connessione accennata brevemente all’inizio, la figura dell’antica Dea Madre, appartenente alla civiltà mesopotamica, altro simbolo della fecondità. Un coperchio di scatoletta risalente al 1250 a.c. raffigura la dea Madre in una posizione che richiama molto la danza. Il corpo femminile viene rappresentato in parte nudo (la nudità è spesso presente in molte altre raffigurazioni antiche di donne che compiono movimenti di danza abbellite da oggetti o altri accessori a seconda delle tradizioni e dei luoghi ), e le sue rotondità accentuate da monili ai polsi e ai fianchi. Le antiche tracce della danza rituale rimangono in ogni caso fenomeni legati a contesti locali che si sono sviluppati nel tempo in maniera radicalmente diversa, tanto che l’attuale danza del ventre è una forma ibrida che racchiude in sé molte culture tramandate e fuse assieme. Elemento fondamentale nella raccolta e fusione di tante tradizioni diverse nella danza, sono stati i popoli nomadi che, con il loro pellegrinare in varie aree geografiche del medio oriente, hanno fatto sì che le loro tradizioni si fondessero con le tradizioni autoctone. Attualmente esistono molte scuole di danza del ventre che mantengono i movimenti di base, ma si differenziano in alcune figure, ritmi e movimenti: scuole turche, egiziane, siriane ecc…
Oggi la danza orientale si riscatta come forma d’arte e di linguaggio espressivo e creativo del corpo della donna. Già verso la metà del XX secolo la danza ritorna ad acquistare la propria dignità e rispetto, grazie al cinema egiziano e anche a famose danzatrici come Tahiya Karioka, Samya Gamal e Nagwa Fuwãd. Quest’ultima è stata forse la figura più importante: donna affascinante e di grande intuizione, seppe integrare aspetti e regole specifiche della danza classica con la danza del ventre, utilizzando anche componenti della danza indiana, legittima fonte della danza orientale moderna. Le vere radici della danza indiana infatti, importate dai Turchi, derivano dai Persiani. In questo modo la danza del ventre incominciò ad uscire da un periodo buio di stereotipi ambigui come quello di “scuotere il ventre per provocazione”, sostituendo questo concetto ormai diffuso con quello di “arte spettacolare”. Furono gli occidentali che definirono la danza orientale, in modo superficiale, come danza del ventre (è noto che alcuni viaggiatori occidentali la prima volta che videro delle danzatrici, rimasero colpiti e tornando in occidente le definirono danzatrici del ventre). A questa etichetta si oppose pubblicamente Nagwa Fuwãd, poiché non solo il ventre è espressione nella danza ma tutto il corpo, capelli, collo, spalle, mani, anche, sguardi, sono elementi fondamentali come mezzo espressivo, mimico, di linguaggio, un’armonia completa di simboli, gesti e significati.
Per ridare dignità alla danza orientale, un aiuto fu dato anche dalle autorità egiziane che, negli anni cinquanta, in un quadro di intervento a favore dell’arte, presero alcune iniziative a favore della danza. Il Governo egiziano decretò alle ballerine, visto il periodo precedente in cui la volgarità aveva preso il sopravvento sull’arte, l’obbligo di coprirsi ventre e schiena almeno con stoffa trasparente proprio per far uscire la danza del ventre da quel ghetto in cui era finita, concependo il vestito come linea di demarcazione per la serietà delle interpreti e delle loro esibizioni.